Una guerra vera

  

Yoav Limor 

(Israel HaYom, 24.7.14)

     Un soldato appena tornato da Gaza ha parlato mercoledì delle sue sensazioni di fronte alle scene che ha visto coi propri occhi e che trovava difficile tradurre in parole. Si parla di un’operazione, ha detto, ma sul campo c’è una guerra: bombe, missili anticarro e violentissimi scambi di colpi. È pericoloso entrare nelle case perché possono essere trappole di mine, e non è sicuro rimanere fuori a causa dei cecchini. Lo scontro è duro, ha detto, ma noi abbiamo dei limiti. Stiamo attenti a non colpire i civili, e dobbiamo stare attentissimi ai rapimenti. Ci hanno parlato un sacco di questi pericoli e di queste minacce prima di andare, ma niente ci ha veramente preparati a quello che ci attendeva laggiù.

 

Quanto riferito dal soldato descrive accuratamente gli eventi sul terreno. Al termine della campagna militare ci sarà tempo per riflettere su come Israele ha gestito la situazione che si andava preparando a Gaza nel corso degli ultimi anni, ma per quelli che adesso sono laggiù questa è nientemeno che una guerra. Ufficialmente Israele la chiama “operazione”, perché per guerra si intende un evento che assorbe tutte le risorse nazionali. Ma quando il paese si trova sotto assedio, dei voli internazionali vengono cancellati, oltre cinque milioni di cittadini sono sotto la continua minaccia di attacchi missilistici, decine di migliaia di soldati riservisti vengono richiamati e il costo reale per l’economia israeliana si capisce che si aggirerà su parecchi miliardi di shekel, la sostanza delle cose è evidente.

 

Le Forze di Difesa israeliane continuano a concentrarsi sui tunnel sotterranei, usati per infiltrare terroristi in Israele. Molti sono già stati individuati e neutralizzati. Molti altri sono praticamente a portata di mano: i soldati hanno trovato le entrate e devono mapparne l’intera struttura per neutralizzarli. Di altri ancora si conosce l’esistenza da informazioni di intelligence, ma i combattimenti sul terreno non hanno ancora permesso di raggiungerli per iniziarne la demolizione.

 

Il tunnel più importante trovato finora è stato individuato mercoledì nel quartiere Shujaiyya. Ha origine all’interno di un’abitazione palestinese, passa sotto al confine e arriva fino al kibbutz Nahal Oz. Dal punto di vista delle Forze di Difesa israeliane l’equazione è semplice: i 20 soldati della brigata Golani che sono morti nella lotta per questo tunnel hanno salvato la vita di almeno altrettanti civili, bambini compresi. Nella stessa zona, alla periferia di Shujaiyya, le forze israeliane hanno trovano un altro tunnel di cui non avevano avuto notizia. Nel nord di Gaza un’altra unità ha trovato una pozzo d’ingresso a un tunnel profondo 31 metri – un record anche per Gaza – all’interno di una stalla, sotto alle mucche.

 

Trovare le aperture dei tunnel a volte sembra la parte più semplice dell’impresa. Molti tunnel sono infatti equipaggiati con esplosivi, che bisogna disinnescare prima che le truppe possano entrare. Un lavoro che richiede ore, a volte giorni. Dopo di che, prima di passare alla demolizione, i soldati devono mappare tutto il percorso del tunnel, con le sue varie ramificazioni che portano dal territorio palestinese sin dentro Israele. Prima di andarsene dalla striscia, le forze israeliane intendono trattare quasi tutti i tunnel trovati. Quelli che rimangono, verranno trattati dall’interno Israele (dove sboccano).

 

Per Israele è chiaro che la neutralizzazione di tunnel e rampe lanciarazzi dovrà essere prevista in un eventuale accordo di cessate il fuoco con Hamas. D’altro canto, è evidente che Hamas non rispetterà la sua parte dell’accordo se questo non prevederà la messa in atto di un efficace meccanismo di controllo e di significativi deterrenti. E’ di questo che si sta discutendo. La domanda è: è già stato raggiunto il punto in cui Hamas, a dispetto delle sua retorica bellicosa, è stata danneggiata abbastanza da starsene tranquilla per un periodo di tempo sufficientemente lungo (come è stato per Hezbollah dopo la guerra in Libano dell’estate 2006)?

 

La risposta a questa domanda non è netta. Di qui, i segnali contraddittori che giungono da Israele. Ufficialmente il governo sta vagliano la possibilità di ampliare le operazioni militari sul terreno; di fatto, è stato chiarito ai mediatori internazionali che Israele è disposto a porre fine ai combattimenti. Una tregua, però, si può fare solo in due. Mentre è possibile che, esattamente come una settimana fa con il tentativo di attentato al kibbutz Sufa attraverso un tunnel (che ha scatenato l’operazione di terra israeliana), Hamas decida di giocare una carta pesante per costringere Israele, contro le sue intenzioni, ad un’ulteriore escalation.

 

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